Nel 1234 Pergola fu fondata dagli Eugubini con l’aiuto degli abitanti dei castelli vicini e di questa nostra discendenza umbra ne possiamo ancora leggere i segni nell’architettura medievale del nucleo più antico della città.
Passeggiando senza fretta fra le strette vie del centro, infatti, intorno al teatro Angel dal Foco, alla Sala dell’Abbondanza e alla chiesa di San Francesco, osservando le facciate delle case, si possono notare tutta una teoria di porte e portali con arco a sesto acuto; alcune sono murate o con una piccola apertura all’interno, una finestrella, altre rimaneggiate, altre ancora riaffioranti da sotto l’intonaco come a fare capolino, costruite tutte però con larghe pietre bianche, squadrate e inconfondibili … e se ne vedete di annerite è perché mantengono intatta la patina del tempo e soprattutto perché sono state scurite dal fumo delle botteghe, magari dei fabbri, che per decenni vi hanno svolto la propria attività.
Ma fra tante porte e portoni ne balza sempre all’occhio una in particolare, stretta e alta, rialzata rispetto al piano stradale e alle altre, di almeno mezzo metro, quella che noi Pergolesi chiamiamo “porta del morto”.
Molte teorie sono state sviluppate su questa curiosa denominazione, ma quella che ho raccolto io, dalla viva voce di una ragazza eugubina doc, mi sembra la più verosimile.
In origine la cosiddetta porta del morto era semplicemente la porta che dava accesso all’abitazione che, invariabilmente, si trovava al primo piano, sopra la bottega. I due ambienti non erano collegati dall’interno e le aperture erano una di seguito all’altra sulla stessa facciata. La particolare forma della “porta di casa” (per non usare sempre la lugubre dicitura di “porta del morto”) rispondeva a un’esigenza difensiva in primis e di risparmio dello spazio poi.
In tempi turbolenti come quelli medioevali, dove le città, i castelli ma soprattutto i semplici cittadini erano alla mercé degli invasori di turno, che fossero barbari o semplici signorotti con smanie di conquista, prima di tutto bisognava pensare a difendersi, o meglio, a sopravvivere e ogni espediente era buono. Lasciando più spazio possibile al laboratorio-bottega, con cui, di fatto, ci si procurava di che vivere, la porta di casa si riduceva a un angusto passaggio, certo, ma, di fatto, era più facilmente difendibile perché “scomoda” da varcare, soprattutto con un’arma o se si aveva cattive intenzioni. Vi si accedeva con l’aiuto di una scaletta di legno, posta all’esterno e ritirata in casa al calar della sera quando la porta era sprangata dall’interno. Due strane pietre murate alla base, sui lati, come a formare dei “piedini” erano un espediente difensivo ulteriore perché impedivano di scardinare la porta. Varcata la soglia, ci si trovava di fronte ad una ripida rampa di scale, in muratura sta volta, che portava direttamente al piano di sopra.
Con il passare del tempo, e forse con il perdurare di una situazione di pace relativa, la funzione difensiva di questa strana porta venne a mancare e si pensò, a quel punto, di rendere più comodo il passaggio in casa, utilizzando quella grande del laboratorio. Ma i due ambienti andavano collegati in qualche modo e non restò altro da fare che costruire, internamente, un’altra piccola rampa di scale, in muratura, formata da pochi scalini, addossata alla parete, che si ricongiungesse con quella che c’era già.
Risultato: un’unica scala, con due rampe ripide, ad angolo retto fra loro. La porta piccola fu chiusa se non addirittura murata. Restava un problema però … Quando qualcuno moriva e si doveva portare giù la salma con una bara o con una lettiga, scendendo dalla camera ci si ritrovava di fronte il muro e non era agevole rigirarsi con il feretro per raggiungere il piano terra. Così, per l’occasione, si riapriva quella vecchia porta, che un tempo era stata la principale, e si faceva uscire il defunto da lì, a “piedi pari”!
Ecco spiegata l’espressione pittoresca, e prosaica insieme, di “porta del morto” e conseguente superstizione che passare di lì da vivi, avrebbe portato sfortuna.
Superstizioni a parte, al giorno d’oggi, quando ristrutturando le case antiche del centro storico riaffiorano questi capolavori di architettura, da sotto l’intonaco, è un vanto riportarle all’antico splendore, ma non solo! A volte è una fortuna insperata perché, se è possibile, si possono trasformare in finestroni che danno luce e aria a locali altrimenti bui e umidi. A patto di rispettare i canoni originali e storici, perché tutto deve essere rifatto com’era in origine e a volte le pietre impiegate costano più della facciata intera!! Però volete mettere con il risultato finale?
Andate a vedere e giudicate voi!!