I Frattesi... ovunque nel mondo

23/giu/2020
Giovanna Baldelli

Fratte Rosa: tu sei per i Frattesi presenti “il rifugio”
per quelli che ritornano di tanto in tanto “un’oasi”;
per quelli che sono lontani “un nostalgico sogno”

 

Così citava la nostra illustre compaesana Laura Cesarini, nel suo libro: “Rivorrei la mia vita”.

Queste semplici frasi, ma dal significato vero e profondo, racchiudono tutto il senso di appartenenza ad un paese anzi, per meglio dire, il Paese.

Fratte Rosa, ai tempi del “corona virus” sta faticosamente oltrepassando il “guado” e come gli altri borghi del territorio, affronta le difficoltà di sempre sovraccaricate da quelle attuali, sanitarie, sociali, economiche.

Ma la “Fratte” che conosco è fatta di gente tosta che non si lascia abbattere facilmente, forte soprattutto del fatto che in passato ha vissuto momenti altrettanto difficili e traumatici, come il periodo di svolgimento della prima e seconda guerra e quello della emigrazione, con il conseguente lento spopolamento del borgo.

Sulla base di riscontri reali e documentati, possiamo affermare che in tempi più o meno recenti, a partire comunque dalla fine del 1800 gli emigranti della comunità frattese si sono trasferiti “ovunque nel mondo”, per cui si accennano qui le emigrazioni più importanti, avvenute nell’arco di più di un secolo.

La emigrazione avvenne, in generale, a causa dell’influsso devastante di una grave crisi agraria e dal successivo aumento delle imposte nelle campagne.

Seguì il declino dei vecchi mestieri artigiani, delle industrie domestiche e, infine, la crisi della piccola proprietà, delle aziende montane e delle manifatture rurali.

Di fatto, in tale contesto, nel nostro Paese imperversarono la fame, le tasse (sul macinato) e la disperazione da parte di proprietari di fazzoletti di terra, braccianti, salariati ed artigiani.

 

Fratte Rosa – via Roma, acquerello di G.Bonaccorsi

 

“L’America e le strade lastricate d’oro”

Era lo slogan che incitava gli italiani a trasferirsi in America, ma subito la realtà si rivelò ben diversa, contraddistinta dalle disuguaglianze, i pregiudizi e l’emarginazione subiti dai nostri connazionali, nel “nuovo mondo”.

Nell’arco di un ventennio compreso fra il 1900 e il 1924, furono molti i frattesi che lasciarono il Paese per trasferirsi negli Stati Uniti d’America, sbarcando nel porto di New York, attraverso i rigorosi controlli presso Ellis Island.
Furono costretti ad emigrare dalla grave crisi sociale ed economica, ma anche favoriti dal fatto che il costo del biglietto per attraversare l’oceano, era inferiore a quello dei treni per il nord Europa.
I frattesi sbarcati in America, al seguito di un flusso precedente di compaesani, amici o parenti, scelsero di stabilirsi soprattutto lungo la costa orientale degli Stati Uniti.

Nei primi anni del 1900 un gruppo di compaesani si stabilì a Milford, nello Stato del Massachusetts, formando una piccola Comunità frattese, dove tutti si prodigarono fra loro in termini di solidarietà e sostegno per il mantenimento delle tradizioni del Paese d’origine da una parte, ma anche per una graduale integrazione nel “nuovo mondo”.

Oltre il Massachusetts, i frattesi emigrati si stabilirono nello Stato del Connecticut, in misura minore nello stato di Washington, Illinois, Pennsylvania, Ohio ed anche in Canada, impiegati nelle industrie del rame, del tessile, nei porti e nella industria del tabacco.

I primi del 1900 Ermenegildo e Domenico Moretti, originari di Torre San Marco emigrarono in Canada, a Toronto e, insieme a molti, migliaia di altri italiani, contribuirono con il loro duro lavoro, alla costruzione della ferrovia “Transcontinentale”, la prima imponente opera costruita nel Paese.

I frattesi “americani”, sono stati i primi, in un certo senso i precursori di un esodo che ha caratterizzato questa parte del secolo, al quale sono seguiti nel corso dei decenni molti altri eventi che hanno coinvolto la comunità di Fratte Rosa.

 

“In francia: les macaronis”

Gli impegni presi tra i rispettivi Governi di Italia e Francia, tramite l’accordo uomo-carbone, comportò il trasferimento di moltissima manodopera italiana, nelle zone delle miniere del nord della Francia, nel periodo antecedente alla seconda guerra e in quello successivo alla sua fine.

Per tutti, oltre all’abbandono del loro paese di origine, il vero grave trauma fu causato dall’impatto con la miniera, nonché il disprezzo da parte della popolazione locale, tanto che gli italiani meritarono l’appellativo di “les macaronis”.

Fu questa una esistenza infernale che si tramutò spesso in strage, per il numero dei morti causati dal crollo delle pareti della miniera, dagli incendi e dallo scoppio delle mine, senza considerare le conseguenze sanitarie, gravissime, per un così lungo tempo trascorso nelle viscere della terra.

Gli emigranti provenienti da Fratte Rosa, si sono trasferiti principalmente nelle zone delle miniere della regione Lorena, Nord Passo di Calais, Ile de France e Rodano-Alpi

Caffè-trattoria “Tripoli”
Longleville, Regione Lorena
gestito da Giuseppe Ceccarelli ovvero “Tripoli” e la moglie Maria Piacenti

 

“In Germania: gli eterni vagabondi”

Gli Accordi bilaterali del 1955 per il reclutamento della forza lavoro, ha portato in Germania circa 3 milioni di italiani sulla base del principio della Rotationsprinzip (principio di rotazione).

Gli italiani potevano entrare solo sulla base di un contratto annuale o stagionale. I controlli erano rigidissimi e non era possibile per gli immigrati, unirsi alle proprie famiglie, se non veniva dimostrato l’uso di una abitazione idonea. La popolazione tedesca considerò gli italiani come “eterni vagabondi”.

Oggi, al contrario, possiamo affermare che, grazie all’impiego nelle miniere, nell’edilizia e nell’industria pesante, gli italiani hanno contribuito, in maniera forte, alla ricostruzione e alla crescita dell’economia tedesca, del dopoguerra.

A partire dai primi anni ’60, la emigrazione in Germania ha interessato numerosi frattesi.
Furono coinvolti soprattutto i capi famiglia che si stabilirono principalmente nelle zone a forte sviluppo industriale come Tubingen in Svevia, Bergisch Gladbak in Renania settentrionale-Vestfalia, Monaco, Francoforte sul Meno e Tettnang.

 

“La miniera di Marcinelle in Belgio”

Per questo paese, sono valsi gli stessi accordi stabiliti con la Francia per lo scambio uomo-carbone.
A partire dal dopoguerra, gli emigranti provenienti da Fratte Rosa si sono insediati nel Paese, principalmente a Ville de Fontaine-L’Eveque, Maurage, Marcinelle e Charleroi, nella Vallona dell’Hainaut.

Fra gli altri frattesi impiegati nelle miniere del Belgio citiamo: Italo Valentini, Nando Pascucci e Montoni Arrigo che lasciarono Fratte Rosa nel periodo dal 1950 al 1953 per lavorare insieme alle migliaia di altri italiani, nella miniera di “Marcinelle”.

 

“In Svizzera: vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”

Il cartello riportante tale dicitura che era stato affisso in un locale pubblico svizzero, riassume ormai la storia dell’emigrazione italiana in questo Paese, a partire dal dopoguerra.

I nostri connazionali consideravano la Svizzera come la nazione più prossima e più vicina all’Italia, non solo dal punto di vista geografico, mentre invece la diffusione della xenofobia qui, non ha certamente risparmiato gli italiani, in termini di rispetto come persone e come lavoratori.

Infine, mai e poi mai dimenticarci del fatto che l’ingresso dei bambini all’epoca, non era riconosciuto dalle Istituzioni locali; pertanto si diffuse il grave disagio dei bambini clandestini, tenuti nascosti per tutto il periodo di permanenza, con conseguenza, per loro, di effetti molto traumatici.

A partire dal dopoguerra, gli emigranti frattesi si sono trasferiti dove c’è stata una forte richiesta di manodopera e principalmente a Lugano nel Canton Ticino, Payerne nel Cantone Vaud, a Neuchatel e Ginevra nel Cantone Francese e a Reiden nel Cantone Lucerna.

 

“In Argentina”

Il flusso migratorio fu favorito a partire dalla seconda metà del 1800, grazie alla istituzione di un Provvedimento Governativo, nel 1876, che assegnava gratuitamente lotti di terreno a giovani coppie di agricoltori, oppure il riscatto dei terreni pagabili ratealmente, a prezzi molto contenuti nella provincia di Buenos Aires.

Nel corso dei decenni, favoriti dal grande flusso migratorio, un certo numero di frattesi si trasferì in Argentina. La tratta dall’Italia verso l’Argentina riguardava i porti di: Genova – Rio de Janeiro – Santos – Montevideo – Buenos Aires – Rosario.

Maria Gambaccini, nativa di Corinaldo sposò Domenico Esposti e si trasferì a Fratte Rosa, mentre tutta la sua famiglia emigrò in Argentina a Buenos Aires: il padre Giovanni e la madre Nunziata, i fratelli Sante, Chiarina, Anna e Richetta.
Maria non rivide più la sua famiglia se non la sorella, per la prima volta, dopo più di cinquant’anni.

Ricordiamo il gruppo “storico” partito da Fratte Rosa per l’Argentina nel 1929 con la nave “Conte Verde” e composto da Fabiani Adriano, Gaudenzi Lino, soprannominato Nino, Guerra Giovanni ovvero Pep d’ Giuanon, Guerra Delpino, ovvero Pinin, preceduti nel 1926-1927 da Gaudenzi Teottimo.

Giovani frattesi in partenza per l’Argentina (1929)

 

“In Brasile”

L’emigrazione iniziò soprattutto dopo l’abolizione della schiavitù nel Paese, nel 1888, per cui i ricchi proprietari delle vastissime coltivazioni di caffè fecero entrare immigrati stranieri che potessero supplire alla mancanza di manodopera locale, nelle piantagioni.

Alcuni frattesi si trasferirono in questo paese già dagli inizi del 1900 e gli sbarchi via nave, avvenivano presso il Porto di Santos.

Nel 1899 la Famiglia Pagliarini ovvero Gennaro, Assunta e il figlio Antonio che abitava a Fratte Rosa in via delle Serre, lasciò l’Italia per emigrare a San Paolo dedita al lavoro nelle piantagioni del caffè.
Non tornarono mai più nel loro paese di origine e i loro discendenti vivono a San Paolo e a Londrina, nella regione del Paranà.

Nel 1955, Bartoli Nerina originaria di Fratte Rosa emigrò in Brasile a San Paolo con il marito Fortunato Laganà e i figli Lilio, Lelio e Liliana.
Dal Brasile, la figlia Liliana evoca ancora nostalgicamente e fortemente i suoi ricordi di bambina vissuti nel borgo (v. L’ultima favola, Liliana Laganà, 2002)

 

Conclusioni

Una buona parte degli emigranti frattesi di tutte le epoche, non hanno fatto più ritorno in Italia, stabilendosi definitivamente nei luoghi dove hanno svolto il loro lavoro, raggiunti spesso dalle famiglie, costituendo ad oggi, fino alla terza generazione, ma anche oltre.

Dopo l’uscita dall’obbligo lavorativo, hanno vissuto o vivono tutt’ora combattuti, fra il desiderio di un ritorno in Patria, la nostalgia, la solitudine ma a volte anche la difficoltà di aggregazione e di definizione di un nuovo ruolo, sia in famiglia che nella società. Essi sono ormai trapiantati in un territorio ritenuto “straniero” ma con il cuore sempre rivolto verso l’Italia.

Ricordiamo qui anche tutti i frattesi che a partire dagli anni intorno al 1960 si sono trasferiti, pur rimanendo in territorio italiano, nelle grandi città come Milano, Roma, Bologna, Torino. Le città offrirono loro una occupazione più stabile nelle industrie, nel pieno dello sviluppo industriale del nostro Paese.

Fratte Rosa, veduta anni ‘80

L’esperienza del passato, ci aiuta a comprendere quanto si sta verificando proprio in tempi recenti, in cui stiamo assistendo, con preoccupazione, a uno dei più importanti fenomeni di trasferimento di massa, verso l’Europa.

Per non dimenticare e per approfondire la storia della emigrazione di Fratte Rosa, se vuoi potrai consultare il mio libro:

“L’altra parte di noi – Storia di emigranti”

disponibile presso il Comune di Fratte Rosa, oppure consultabile nella collana dei Quaderni Regionali al seguente link:
https://www.consiglio.marche.it/informazione_e_comunicazione/pubblicazioni/quaderni/pdf/207.pdf