Comunità Ebraica a Pergola

27/gen/2018
Federico Temperini

Nel Giorno della Memoria è doveroso ricordare come, anche nella nostra vallata e fino al recente passato, fossero presenti numerose comunità ebraiche.

Riccardo Calimani, nel suo volume Storia degli ebrei italiani. Dalle origini al XV secolo (Mondadori, 2013), scrive che nei primi decenni del 1500 gli insediamenti nelle Marche erano circa sessanta, fra questi cita quelli di Corinaldo, Mondolfo, Mondavio, Orciano, San Lorenzo in Campo.

Una delle comunità ebraiche più importanti della Valle del Cesano era sicuramente quella di Pergola. Secondo lo storico Sandro Sebastianelli (Attività pergolese nei secoli, Il Sanguerone, 2008), la prima testimonianza scritta è un atto notarile dell’11 maggio 1383 in cui viene indicata l’esistenza di un banco per esercitare prestiti in denaro.

È però molto probabile che una piccola comunità si fosse stabilita nel centro cesanense già dalla sua fondazione, nel 1234, o pochi anni dopo. Con il passare del tempo la presenza ebraica crebbe di numero e prestigio. Una “spinta” importante venne, nel 1492, dalla promulgazione dell’Editto di Granada che costrinse le comunità ebraiche dell’Italia meridionale a spostarsi verso nord. Pergola, che apparteneva al Ducato di Urbino, offrì agli ebrei che vi si stabilirono una buona sistemazione: per la tolleranza, per gli scambi commerciali, per l’esistenza di corsi d’acqua che favorivano le attività dei tintori e dei conciatori di pelli. Gli ebrei, ben accetti, contribuirono fortemente allo sviluppo di due quartieri storici della città (le “Tinte”, lungo il fiume Cesano e le “Conce” lungo il fiume Cinisco), eressero una sinagoga (nell’ex Palazzo Brilli ove oggi ha sede il Centro Margherita) e un proprio cimitero in località Mezzanotte.

Un’ulteriore testimonianza dell’importanza raggiunta dalla comunità ebraica si ha nel 2006 quando nell’archivio storico comunale sono state rinvenute alcune antiche pergamene. Due manoscritti riutilizzati come copertine del volume n. 15 della serie “Debiti”, contenente atti degli anni 1601-1609 e del volume n. 2 della serie "Libri dei consigli”, maggio 1597-maggio 1601. Entrambi provenienti dalla comunità di Monterolo. La prima copertina contiene parte del commento al Talmud babilonese del massimo esegeta ebreo di tutti i tempi, Shelomoh ben Isa (noto con l’acronimo di Rashi) che visse e operò a Troyes nel secolo XI. Ma ad attirare l’attenzione degli studiosi è stata soprattutto la seconda copertina, databile fra il 1300 e il 1400. Una pergamena di eccezionale valore in quanto unico testimone manoscritto esistente al mondo di un commento di Rabbi Chanan’el Ben Hushi’el, vissuto in Kairouan fra il 990 e il 1053, ai trattati Gittin e Kiddushin del testo sacro dell’ebraismo.

Nel 1631, con la morte di Francesco Maria II della Rovere, ultimo erede della nobile dinastia, le terre del ducato passano allo stato Pontificio. Per volere di papa Urbano VIII gli ebrei sono costretti a emigrare nei ghetti di Senigallia, Pesaro e Urbino. Nell’Ottocento, con la chiusura di questi quartieri, molte famiglie scelgono di tornare a Pergola. Rinasce una comunità stimata e importante e diversi ebrei sono chiamati a ricoprire cariche pubbliche, come Astor Camerini, sindaco fra il 1923 e il 1924. Ancora oggi molti ebrei sparsi per il mondo, assumendo il cosiddetto “cognome di provenienza”, tradiscono l’origine pergolese. Due nomi su tutti: Massimo della Pergola, il giornalista inventore del popolarissimo gioco della Sisal (poi noto come totocalcio) e suo figlio Sergio della Pergola, demografo e sociologo di fama internazionale.

Anche sotto la dittatura fascista sono numerose le famiglie ebraiche (sia originarie del posto, sia internate) che vivono a Pergola. Grazie all’aiuto “di persone comuni” tutti gli ebrei riescono a scampare all’ordine di arresto e di deportazione del 30 novembre 1943 emanato dal regime. Decisivo, in questo caso, fu l’intervento del direttore dell’ufficio postale Antonio Buccelletti. Prima di consegnare ai dirigenti fascisti il telegramma del Ministero dell’Interno Buccelletti, con la collaborazione di tutti i dipendenti, fece avvisare gli ebrei dandogli la possibilità di scappare e nascondersi.

Le loro storie, e quelle delle persone che li hanno salvati, sono narrate nel volume La valle dei Giusti e dei Salvati di Anna Pia Ceccucci (Ecra, 2012). Da una parte i “Giusti”: sacerdoti, suore, impiegati, insegnanti, artigiani, agricoltori, professionisti, intere famiglie che si sono adoperati affinché ogni ebreo potesse scampare alla barbarie nazifascista. Dall’altra i “Salvati”, gli Ebrei. Persone da emarginare e da perseguire fino alla morte. Ma per la maggior parte dei Pergolesi è un’idea inaccettabile. E così avviene il “miracolo”. Nessuna organizzazione alle spalle, nessuna istituzione o collaborazione nascosta, ma solo fede e coraggio.

Fra le tante vicende ricordiamo quella di Albert Alacalay che, grazie all’aiuto della famiglia Caverni, assieme ai suoi congiunti riuscì a fuggire negli Stati Uniti dove divenne insegnante all’università di Harvard e pittore di fama mondiale. O quella di Scarfberg Leizor per mesi nascosto dal dottor Antonio Capannini nel retrobottega della farmacia dell’ospedale e sopravvissuto grazie ai pasti, portati in segreto, passando per la camera mortuaria, da suor Apollonia. O di Astorre Camerini, che Piero Quaresima nascose nel contenitore della sua gelateria ambulante, eludendo i controlli dei nazifascisti e portandolo in salvo nella frazione di Percozzone.

Degli ebrei, oggi, a Pergola sono rimaste poche tracce: il maestoso palazzo Camerini in via Silvio Pellico, tre tombe nel cimitero centrale e, soprattutto, la stele della foto, posta undici anni fa nell’antico cimitero alle porte della città.